L'editoria indipendente in Cina: a che punto siamo?
I giornali di moda cinesi stanno davvero abbandonando i propri lettori? Io non credo
Solo qualche anno fa ho avuto la possibilità di acquistare alcuni magazine indipendenti cinesi proprio a Milano. E me ne sono innamorata. Chi di voi lavora nella moda e nell’editoria già sa cosa distingue un magazine indipendente da un magazine che è il puro prodotto editoriale di una casa editrice internazionale: un indipendente ha più libertà, sceglie cosa vuole essere e come vuole esserlo, generalmente nasce dal progetto di uno o più addetti ai lavori e diventa autorevole nel tempo (senza la “fortuna” di nascere sotto la buona stella di un nome già affermato).
Ad oggi, credo vivamente che il terreno più fertile in fatto di editoria indipendente sia il Regno Unito: quando vivevo a Londra ero solita trascorrere ore nelle edicole specializzate in “indie magazines”, sfogliavo con piacere The Gentlewoman, Buffalo, Cereal ed altri. LOVE, sebbene pubblicato da Condé Nast, è stato uno dei progetti più coraggiosi, quello che ho amato di più in assoluto.
E poi c’è la Cina, dove il dibattito sugli indipendenti è davvero interessante.
Il fenomeno è recente, non è storicamente radicato come nel panorama anglosassone. D’altronde, è tutto il mercato editoriale della moda che - vuoi per questioni politiche, vuoi per questioni storiche - in Cina viaggia su tempistiche completamente lontane dalle nostre (ELLE Cina è stato lanciato solo nel 1988, Vogue Cina nel 2005). Ho letto vari punti di vista in giro e ne emerge un quadro abbastanza frammentato.
Nel 2021, Radii China ha pubblicato un pezzo intitolato Here’s Why Fashion Magazines are Thriving in China (Psst! It’s Celebrities) e la conclusione che ne emerge è che “i giornali di moda cinesi stanno abbandonando i propri lettori”. La sentenza emessa dal giornalista Wang Jungjie