Quando il gioco si fa duro, i competitor cominciano a giocare. Nella precedente newsletter vi ho parlato del debutto di ELLE in Cina nel 1988: è stato un grande nuovo inizio, che ha significato l'esordio delle tendenze moda occidentali in terra cinese. Ma sono anche abbastanza certa del fatto che, sin dal giorno #1, la redazione di ELLE sapesse molto bene che presto che sarebbe arrivata anche la rivista VOGUE. E, insieme a lei, una FEROCE COMPETIZIONE.
Angelica Cheung, 15 anni a VOGUE (e non sentirli)
La direzione di VOGUE Cina fu affidata a Zhāng Yǔ 张宇, nata nel 1966 a Pechino e conosciuta nel panorama internazionale come Angelica Cheung: è stata fedele alla testata per ben 15 anni, dalla quale ha annunciato l'uscita lo scorso novembre 2020. Ironia della sorte: quando la casa editrice Condé Nast le propose la direzione della rivista, Angelica stava già lavorando come fashion editor per ELLE, ma pare stesse pensando di lasciare il giornalismo per trovare un lavoro più attinente alla sua laurea in giurisprudenza. Oltre al lavoro svolto per ELLE, era (già) anche la direttrice di Marie Claire Hong Kong.
Cosa le fece cambiare idea?
Semplicemente, l’identità del marchio VOGUE. Che non era ELLE, non era Cosmopolitan e non era Marie Claire. Semplicemente, era VOGUE. “Compresi che il marchio VOGUE era una risorsa e che avrebbe potuto portare alle lettrici cinesi qualcosa di molto differente”, ha rivelato in un’intervista del 2014 a Business of Fashion. Dopo sei mesi infatti accettò l’incarico: creò la squadra e a settembre 2005 lanciò il primo numero. Uscì in edicola – proprio già applicata con ELLE – con il titolo VOGUE accompagnato anche dai caratteri cinesi, gli stessi che potete trovare ancora oggi: Fúshì yǔ Měiróng 服饰与美容, ovvero “Moda e Bellezza”. Semplice ed efficace.
Angelica Cheung è stata la direttrice di VOGUE Cina fino a novembre 2020.
La prima copertina (non si scorda mai)
A scattarla fu Patrick Demarchelier a Shanghai. A differenza del (che ebbe in copertina una sola modella, e per di più occidentale: parliamone, sigh), VOGUE debuttò con le modelle cinesi Du Juan, Wang Wenqin, Tong Chenjie, Liu Dan e Ni Mingxi insieme alla modella australiana Gemma Ward. Inoltre, il titolo stesso di copertina annunciava una promessa (che sarebbe stata mantenuta nel tempo, eccome): zhōngguó shízhuāng xīn jìyuán中国时装新纪元, cioé “La nuova era della moda cinese”.
La copertina con cui VOGUE ha debuttato in Cina nel 2005.
Cosa significava entrare “nella nuova era della moda cinese”
Tante, tantissime, (forse) troppe cose. Significava promettere opportunità alle nuove generazioni di creativi cinesi, offrire alle donne un’ideale di bellezza a cui potevano finalmente appartenere (e che, no, non doveva essere eurocentrico). Significava educare le lettrici, incentivare (anche) il consumo dei beni di lusso. La risposta fu molto celere: come spiega Wu Juanjuan in The Chinese Fashion Industry, “l’impatto di VOGUE sul mercato editoriale cinese fu immediato. Le testate competitor risposero rapidamente al suo ingresso a gamba tesa”. Ma in che modo? In primis, con un po' di guerrilla marketing. VOGUE debuttò in edicola con 30mila copie, e con ognuna di esse la lettrice ebbe in omaggio una borsa shopper. Quel mese, ELLE si regolò di conseguenza offrendo un mascara omaggio. Ma la novità era troppo grande per la Cina, e la curiosità delle donne cinesi lo fu a sua volta. Tutte e 30mila le copie di VOGUE Cina andarono sold out.
La missione di VOGUE #1: educare un nuovo pubblico di lettrici
Uno dei buoni propositi di VOGUE Cina è stato sin da subito questo: educare un nuovo pubblico. Angelica Cheung è stata consapevole della reale necessità di “decostruire” le conoscenze delle lettrici per educarle da capo. Come ha raccontato a Business of Fashion: “Siamo partite raccontando la storia dai Beatles, da come abbiano rivoluzionato l’intera industria della moda e di come il modo di pensare sia stato profondamente cambiato diventando così più emancipato. […] Film, fenomeni culturali, Mary Quant, Twiggy". Raccontando la storia della moda occidentale attraverso le pagine di VOGUE, Angelica Cheung però non stava solo informando la lettrice su quanto fosse accaduto in occidente . Angelica Cheung stava facendo sì che la Cina potesse andare a prendersi il rispetto internazionale che meritava.
VOGUE Cina, ottobre 2019.
La missione di VOGUE #2: ottenere rispetto a nome della Cina
“La Cina è grande. Abbiamo bisogno di creare una rivista che rifletta questo grande mercato, il suo significato nel mondo. E vincere il rispetto che merita”.
Quelle che avete appena letto sono parole tratte dall’intervista rilasciata nel 2014 per Business of Fashion, in cui Angelica Cheung ha sottolineato più volte quanto sia stato fondamentale conquistare il rispetto internazionale. A motivarla sarebbe stata la voglia di permettere al popolo cinese di superare “una forma di insicurezza che ha tanto pesantemente condizionato la Cina degli ultimi secoli”. Spiega infatti: "Per tutti questi anni, non si è fatto altro che credere che il nostro fosse un mercato inferiore, secondario. Ma chi ha detto che possiamo posizionarci solo secondi? Il mercato (al momento del lancio di VOGUE, ndr) era grande abbastanza. Sarebbe stato grandioso introdurre lo spirito di Condé Nast, essere leader dell’eccellenza e diventare i migliori. Io volevo dimostrare alla famiglia di Condé Nast che anche in Cina ce l’avremmo fatta".
Peccato però che, nella fase iniziale, le aspettative di Angelica Cheung furono deluse: “Pensavo che essendo VOGUE avrebbero automaticamente voluto collaborare con noi. E invece no, realizzai presto che le persone erano scettiche in merito alla Cina”. Il problema evidenziato da Angelica Cheung era rappresentato dalla visione distorta che ancora oggi le persone hanno in merito alla Cina. Userò come esempio il MET Gala 2015, che quell'anno ebbe come protagonista la mostra China: Through The Looking Glass, tenutasi dal 7 maggio al 16 agosto 2015 presso il Metropolitan Museum di New York. La giornalista ha raccontato che molti ospiti si presentarono alla première della mostra d’arte indossando abiti che appartenevano molto più alla tradizione giapponese che a quella cinese, per non parlare poi di quegli abiti che si ispiravano soltanto “ad un’interpretazione occidentale del tutto vaga di Cina”. Lady Gaga e Giorgia May Jagger comprese.
Red carpet, MET Gala 2015. Sorry, ragazze, tentate ancora.
Ripetiamo insieme: il kimono è giapponese, non cinese. Ancora: il kimono è giapponese, non cinese. E se volete divertirvi a guardare tutti i look che quell'anno - il 2015 - sono stati accusati di "appropriazione culturale", vi invito a leggere questo articolo di fashionista.com.
VOGUE Cina e la cosiddetta miànzi 面子
No, i look accusati di "appropriazione culturale" (che per me hanno un'errata concezione di Cina, che tende a un'interpretazione del tutto esotica) al MET Gala 2015 non hanno certo tenuto conto della miànzi 面子. Pillolina di cultura cinese: letteralmente significa "faccia", metaforicamente "reputazione" ma anche "motivo di orgoglio". L’Oxford Handbook of Chinese Psychology spiega che la miànzi 面子 è un valore fondante nella cultura cinese, perché rappresenta anche l'insieme degli sforzi che una persona ha fatto per conquistare tale reputazione. A tal proposito, Angelica Cheung è stata protettrice della miànzi 面子 della Cina, che ricordiamolo: è un Paese dalla cultura millenaria! E a proposito di questo concetto fondante, VOGUE Cina ha anche dovuto rispettare la miànzi 面子 delle donne cinesi! Come? RAPPRESENTANDOLE PER DAVVERO. Non di certo con stereotipi di bellezza occidentale. "Le donne cinesi - ha raccontato Angelica Cheung - avrebbero pensato: «Perché dovrei desiderare quei canoni di bellezza se non sono neppure belli? Guarda quella donna, così magra che sembra malata. [...] Perché dovrei voler essere quella donna?»”.
Ecco dunque come il marchio VOGUE sia riuscito a guidare le donne verso nuova era della moda cinese. Vorrei dirvi che questa è una storia totalmente "a lieto fine", eppure: la nostra protagonista, Angelica Cheung, ora dovrà salutarci perché ha portato la sua missione a compimento. Lo scorso novembre ha annunciato al mondo che avrebbe concluso il suo 15esimo anno di direzione e poi lasciato VOGUE Cina. Condé Nast ha provveduto a nominare una nuova direttrice: giovane, molto giovane. Margareth Zhang ha soli 27 anni ed è anche la voce della generazione millennial. Ma di lei, della nuova direttrice di VOGUE Cina, parleremo nella prossima puntata.
NOTIZIE DALLA CINA
👉 Chloé Zhao, la regista di Nomadland, ha trionfato agli Academy Awards 2021 portando a casa 3 Oscar. Eppure la Cina ha censurato la notizia ovunque. Il punto di internazionale.it per capirne di più.
👉 Bellissimo, il progetto Marni Miao! Marni ha collaborato con la comunità dei Miao, una minoranza etnica cinese, per la realizzazione di una collaborazione che ne celebra la loro tradizione artigianale. Qualche info in più è anche su Jingdaily.com.
👉 La Fashion Director di VOGUE Cina va via dopo 13 anni. Sembra che la nuova direttrice Margareth Zhang stia costruendo un team tutto suo.
👉 VOGUE Hong Kong ha scelto Kendall Jenner per la copertina di maggio 2021: yay or nay?
👉 La designer taiwanese Apu Jan ha collaborato nuovamente con McDonald's per ridisegnarne il packaging. La loro sinergia va avanti già dal 2019. In foto, segue il risultato di quest'anno!
👉 L'ultima tendenza make-up che spopola tra le millennial cinesi? Le palette di ombretti (e non solo) a tema astrologia.