La Cina preferisce le mostre alle sfilate?
Una promessa è una promessa: sono tornata da voi, e mi eravate mancati tantissimo. Dove eravamo rimasti?
Una promessa è una promessa. Quando a maggio vi ho annunciato di aver bisogno di un momento di pausa e richiamare le energie a me, non ho dubitato neppure per un secondo della vostra comprensione. In questo spazio abbiamo coltivato fiducia e senso di appartenenza a una community fondata sull’essere (davvero) umani, oltre che appassionati di moda e di Cina. Grazie, dunque, a tutti voi: non vi siete disiscritti (ho tenuto i vostri abbonamenti premium in pausa, ovviamente, che ripartono da questo mese) e oggi siete qui a leggermi! C’è anche qualcuno nuovo tra noi! Benvenuti, qui trovate qualche informazione in più su di me e su questo progetto editoriale indipendente.
La riflessione di oggi verte su questa domanda: strategicamente, per una maison occidentale, conta di più organizzare in Cina una mostra o una sfilata? La curiosità è sorta tra me e me leggendo l’ultima notizia che coinvolge Dior. Il 2 settembre la casa di moda ha inaugurato L’or de Dior al Guardian Art Center di Pechino, la mostra che si protrarrà fino al 29 di questo mese. Stando a Jing Daily, la notizia ha generato così tanto hype da chiamare a sé 71,28 milioni di utenti nella diretta online che il 1° settembre ha svelato l’esclusivissimo opening party. Non oso immaginare che fila ci sia stata quando la mostra ha aperto al pubblico.
È proprio qui, il punto: il pubblico. Credo che le mostre organizzate della maison occidentali in Cina siano diventate un potentissimo strumento di storytelling. Più potente delle sfilate. Non che i fashion show non abbiano ragion d’essere (anzi!), ma quelli che vediamo proporre al mercato cinese sono - salvo eccezioni! - quasi sempre repliche di sfilate già tenutesi in occidente. Parte degli addetti ai lavori rischiano dunque di averli già visti nelle capitali europee (sebbene le collezioni in Cina vengano ampliate con pezzi localizzati per il mercato specifico), mentre il pubblico cinese ha la possibilità di seguirli soltanto attraverso i canali digitali, fruendone solo in piccola parte. Ma con le mostre è diverso.
Le mostre sono esperienze immersive. L’apertura al pubblico consente di far sì che tutti si avvicinino con curiosità allo storytelling di una maison. La stessa regola vale anche qui in occidente per il pubblico di non addetti ai lavori del sistema moda: non accedono alle sfilate, ma sono certamente incuriositi e inclini a visitare le mostre. Nel caso della Cina, il gap geografico e il gap linguistico amplificano le difficoltà incontrate dai brand: per raccontarsi non basta mica (solo) una sfilata! Ecco allora che la mostra diventa uno strumento di dialogo, un dialogo più lento e dettagliato, in cui perdersi e ritrovarsi seguendo un fil rouge prestabilito.
Della mostra L’or de Dior a Pechino apprezzo lo storytelling coerente e consistente. A cominciare dal nome: ci avete fatto caso che il nome cinese della maison è 迪奥? Si pronucia Dí'ào. Dí 迪 significa “illuminare”. Ào 奥 è un aggettivo, significa “profondo”. Dunque, illuminare profondamente. Nel 2022, quando lavoravo per Elle prima di passare a Vanity Fair, scrissi un pezzo sul rapporto tra la maison Dior e il colore oro (lo ritrovate qui).
Trovo questa mossa di gran lunga più strategica di quella attuata nell’aprile 2021, quando la maison sfilò a Shanghai. Di quel fashion show pure scrissi su ELLE, ma alla fine - qui su Moda in China lo posso dire, e lo dico! - risuonò proprio come una pura attivazione commerciale.
Detto questo, di esempi di altre mostre valide in Cina ce ne sono vari. Posso menzionarvi New Balance, che ne ha tenuta a Pechino per celebrare il suo 100° anniversario. E anche Van Cleef & Arpels, la maison di alta gioielleria che ha portato The Art of Movement a Guangzhou. E anche Loewe, che fino a questo 11 settembre fa parlare di sé con la mostra Chengdu Got Hands.
Qui su Moda in China, invece, sviscerammo a fondo come Prada fosse riuscita a interpretare la propria qualità intellettuale attraverso il dna di Shanghai: ci riuscì con la mostra Pradasphere nel dicembre 2023. Ma questo, chi mi segue in questo progetto dal giorno #1 lo sa: ho un debole per come Prada approccia (bene) il mercato cinese.
Voi che ne pensate delle sostanziali differenze tra sfilate e mostre? Su Substack trovate l’apposita sezione per i commenti, qualora voleste condividere la vostra opinione.
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Chissà se a Parigi sfilerà di nuovo per Miu Miu la dottoressa cinese Qin Huilian. La scorsa stagione l’ho intervistata qui su Moda in China.
Bene, per oggi è tutto. È bello essere tornata da voi! Vi lascio con un mega sconto per chi di voi volesse diventare lettore premium, qui! ❤️