La moda ha un problema, il bamboo ceiling
"Il bamboo ceiling nella moda può essere molto difficile da riconoscere"
Non sapevo cosa fosse il bamboo ceiling. Letteralmente, significa “soffitto di bambù”. Ho scoperto e indagato sul significato di questo termine dopo aver letto un post che l’influencer Susie Bubble ha pubblicato su Instagram in difesa del collega influencer filippino Bryan Boy. Tutto è accaduto a partire dalla sfilata Gucci alla scorsa Milano Fashion Week, dove gli influencer sono stati fatti accomodare tutti insieme all’interno di una delle tante strutture circolari del set dello show.
Una delle mie penne preferite, la straordinaria e tagliente giornalista Vanessa Friedman, gli ha scattato una fotografia e l’ha pubblicata su Twitter:
Premessa. La casa di moda fiorentina ha spiegato che ciascuna delle strutture circolari in cui erano raccolti e accomodati gli ospiti aveva un concetto più profondo, rimandava alla circolarità della storia di Gucci: il concetto è stato ripreso per dare storytelling al lavoro dell’ufficio stile, che ha riesplorato l’archivio della casa di moda per attingere a elementi passati e ricontestualizzarli nel presente. È stata l’ultima collezione Gucci senza direzione creativa: come sapete, l’era di Alessandro Michele è finita (qui abbiamo parlato di cosa significasse per la Cina, ricordate?) e Sabato De Sarno è stato recentemente scelto per assumere le redini del marchio. La prossima sfilata Gucci ci presenterà la sua visione.
Ma torniamo a Susie Bubble, al bamboo ceiling e la sfilata Gucci
Non farò da arbitro tra giornalisti e influencer, anche perché quelli alla sfilata Gucci erano influencer con la “I” maiuscola. Bryan Boy è anche editor-in-chief di Perfect magazine. Susie Bubble è anche contributor per Business of Fashion e Evening Standard. Inoltre, le opportunità del digital e le possibilità di informazione in questa industry sono ormai tante e diversificate, trovo ostinato non riuscire a comprendere che ognuno – a modo proprio, con le proprie competenze e le proprie audience - può avere il proprio spazio e rivestire il proprio ruolo. Ci sono tanti giornalisti che sono anche influencer, fanno #adv su Instagram (vedi Sarah Harris di British Vogue), eppure non perdono affatto la propria autorevolezza e credibilità. So what’s the problem?
Nel suo articolo per The New York Times, Vanessa Friedman ha parlato di “ever-present K-pop stars and other Asian influencers”, ammassando insieme i K-pop (che sono coreani) e “altri asiatici” (“di ogni tipo”). In più, non mi è piaciuto l’articolo di The Telegraph in cui gli influencer vengono definiti “clown” :
A posse of influencers, some of them literally dressed as clowns in pierrot diamond patterns from the last Gucci collection, applauded enthusiastically, but the rest of the audience seemed to be wondering what happens next.
È evidente che questa fosse un’accusa scagliata agli influencer in generale, ma fatto sta che – proprio tra quegli influencer – ce ne erano molti di origine asiatica. E loro, come giusto che sia, hanno fatto sentire la propria voce. L’intervento che desidero condividere qui con voi è quello di Susanna Lau, aka Susie Bubble, di seguito:
“La sfacciataggine che la maggior parte della stampa ha nel 2023 di deridere gli influencer nei testi delle proprie recensioni è esilarante, considerando quanti hanno adottato il modus operandi dei social media. Dopo aver approfondito, ho trovato ancor più sfinente l’abitudine di ammassare insieme ‘asiatici’ e ‘star K-pop’. Se Ariana Grande fosse stata seduta in front row, sarebbe stata riconosciuta come un individuo. È interessante notare che alcune settimane fa avevo risposto a Vanessa Friedman in merito a una domanda sul cheongsam (abito tradizionale cinese, ndr) come forma di appropriazione culturale. Ho risposto a dovere ovviamente, ma leggendo le sue recensioni della settimana della moda e i successivi tweet, ho ripensato agli spazi che ci vengono ‘assegnati’; andiamo bene per alcune cose, ma per altre no. Sì, puoi fare parte della moda. Però, per favore, non urlare. O quantomeno limitati a dare ‘informazioni da influencer’ (qualsiasi cosa essa significhi).
Il bamboo ceiling nella moda può essere molto difficile da riconoscere. E anche difficile da articolare. Siamo visibili ma anche invisibili. Quello che posso dirvi di nuovo è che... non siamo clienti. Non siamo un ‘mercato’. Non siamo un monolite. Ognuno di noi ha le proprie difficoltà, i propri punti di forza e i propri talenti. Già solo in questa immagine, gli ‘asiatici’ sono TUTTI di diversi background culturali sparsi in tre diversi continenti”.
Eccolo, il bamboo ceiling:
termine coniato nel 2005 da Jane Hyun in Breaking the Bamboo Ceiling: Career Strategies for Asians. Il termine designa le barriere sociali, tra cui gli stereotipi razziali, che impediscono gli asiatici di fare carriera.
Susie Bubble continua:
“Spesso mi viene chiesto perché ci sono così tanti ‘influencer asiatici’. Potrei rilanciare dicendo: «Ti chiedi mai lo stesso sul perché ci siano così tanti giornalisti bianchi?». Sarò schietta. Sono cresciuta come rappresentante della diaspora cinese nel Regno Unito, non mi sono mai sentita parte di ‘quegli’ spazi. Così ho creato il mio, e l’ho creato online. Ciò che mi sembrava più sicuro era usare HTML e scrittura per esprimere il mio amore per la moda, piuttosto che fare domanda per uno stage o bussare alle porte di una rivista. Sono sbalordita da quanto sia aumentato lo spazio, per poterci accogliere tutti. Quasi due decenni dopo, siamo finalmente arrivati tanto lontano, eppure i momenti come questi mi fanno pensare che, forse no, non lo siamo affatto”.
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fede, sei stata illuminante, non sapevo !