Cosa cambierà tra Gucci e la Cina, senza Alessandro Michele?
Si sapeva già da aprile che Gucci in Cina non stava vendendo più bene
Lo scorso 23 novembre, molti noi giornalisti avevamo la news in bozze già pronta. “Iniziamo a imbastire”, mi ha detto il mio caporedattore di Vanity Fair, la testata Condé Nast con cui ho intrapreso un nuovo capitolo professionale da già tre settimane. A fare irruzione in quella giornata come tante era stata un’indiscrezione, o meglio una bomba lanciata da WWD: Alessandro Michele stava davvero lasciando la direzione creativa di Gucci?
Sì, alle ore 20.30 circa è arrivata la conferma e la news era già pronta per andare online: Alessandro Michele - lo straordinario, visionario, eclettico, anticonformista, geniale direttore creativo della maison fiorentina – aveva ufficialmente lasciato Gucci. Dopo solo 7 anni alla sua guida.
Mentre elaboravo questa notizia con tutta la tristezza e lo shock del caso, mi sono ritrovata a pensare a che genere di impatto avrebbe presto avuto questa decisione sul mercato asiatico, in particolar modo sulla Cina. Passetto indietro per i miei lettori provenienti dal mondo accademico cinese: la notizia ha provocato tra gli addetti ai lavori del sistema moda uno strano senso di destabilizzazione perché, detta senza filtri, sembra veramente di esser giunti al capolinea. Talvolta la moda recluta, osanna, spreme come limoni e, quando non servi più, o parcheggia in un angolo o ringrazia e accompagna alla porta. It’s business, baby. Una dura verità che ha toccato anche Gucci, ma perché? Pare che le vendite del marchio non stessero più superando le aspettative e che Alessandro Michele, per restare fedele alla sua identità e alla sua visione creativa, abbia deciso di salutare tutti piuttosto che piegarsi al volere dei vertici.
Della complessità di questo fenomeno – il quiet quitting della moda che tanto quiet non è - ne ha scritto nel mondo più veritiero e dissacrante Giulia Pacella su ELLE (i brividi che sentirete addosso sono il bonus track del suo pezzo straordinario). Ma veniamo a Michele, alla Cina e a cosa succederà.
È principalmente in Cina che Gucci non stava più vendendo bene
I NUMERI. Lo hanno rivelato i dati condivisi da Vogue Business lo scorso aprile: Gucci non stava più vendendo bene in Cina. Il gruppo Kering riporta che, nel primo quadrimestre del 2022, le vendite di Gucci erano aumentate “solo” del 13,4% rispetto allo stesso quadrimestre dell’anno precedente, restando così sotto le aspettative di crescita del -0,7%. Nel frattempo, gli altri marchi se la stavano cavando benissimo: +37,2% per Saint Laurent, +16,3% per Bottega Veneta e +35,1% per Balenciaga e Alexander McQueen.
Gucci moda Primavera Estate 2018
IL COVID. Quello stesso aprile, però, non c’era stato alcun segnale né forma di allarmismo a tal proposito. “Colpa del Covid”, era stato detto. Jean-Marc Duplaix, CFO del Gruppo Kering, aveva specificato di star attendendo la riapertura dei negozi in Cina, che i valori portanti del marchio erano ancora fortissimi e che avrebbero continuato a investire in ciò che stavano facendo. “Il marchio – aveva detto a Vogue Business – ha tutti gli ingredienti per performare molto bene negli anni a venire”. Solo, aggiungo io, senza più Alessandro Michele?
Gucci moda Autunno Inverno 2017 2018
UN NUOVO PRESIDENTE GUCCI PER LA CINA. Eppure, mentre le vendite di Gucci in Cina rallentavano, il marchio ha pensato di creare per questo stesso mercato una figura nuova: Laurent Cathala, proveniente da un ruolo executive in Tiffany&Co., è stato nominato President of Greater China del marchio Gucci. Missione: risollevare le vendite nel mercato chiave asiatico. Quale? Quello cinese. Il più potente, in cui – anche nel terzo quadrimestre del 2022 – le vendite hanno performato male. Senza alcun dato specifico divulgato da Gucci, stando all’agenzia stampa Reuters.
Gucci moda Autunno Inverno 2016 2017
In che modo Gucci potrebbe aver stancato la Cina?
Alessandro Michele ha dialogato magnificamente con il mercato cinese. Vi ricordate quando abbiamo parlato della tendenza guochao rivendicata dalle nuove generazioni di designer cinesi come simbolo di orgoglio nazionale? Ho sempre avuto la sensazione che Michele l’avesse fatta propria a sua volta, senza esplorare mai i valori e i codici emblematici dell’immaginario cinese con fare “esotico” (anche perché quella sarebbe un errore che risponde alla voce di appropriazione culturale). In passerella, alcuni look sono spesso sembrati un omaggio all’Asia. E persino Melania Trump, nel novembre 2017, scelse un abito (ispirato al tradizionale qípáo 旗袍) Gucci moda Autunno Inverno 2016 2017 per l’incontro con Xi Jinping.
Melania Trump in Gucci alla cena di Stato a Pechino.
Le sole reference in passerella però non bastano. Mi piacque molto la campagna pubblicitaria che coinvolse Sonia Hangzhou, la proprietaria dello storico ristorante cinese di Roma.
Non mi hanno invece pienamente conquistato le campagne e le capsule Gucci realizzate ad hoc per le festività cinesi. Nel 2020, la campagna del Chinese New Year a Disneyland non fu accolta con entusiasmo (e pure H&M inserì Minnie nella sua capsule, tra l'altro).
Ancor prima, nel 2018 (quindi nell’anno del Cane), fu presentata alla Cina una campagna in cui figuravano le illustrazioni di Orso e Bosco, i Boston Terrier di Alessandro Michele…
Nel 2021, la capsule di Gucci per il Chinese New Year ha fatto leva su Doraemon. Ditemi che lo sapevano, dai, che Doraemon è giapponese! Alcuni netizen lo definirono “lazy marketing”.
L’anno scorso, mentre Bottega Veneta faceva quella pazzesca installazione sulla Grande Muraglia Cinese supportando economicamente il restauro di una roccaforte, e mentre Prada donava in beneficenza per la salvaguardia delle tigri (essendo l’anno della tigre), Gucci ha prodotto una campagna pubblicitaria con tigri vere, che ha suscitato l’ira degli animalisti.
Insomma, ho la sensazione che le strategie adottate da Gucci in Cina non siano state proprio del tutto pertinenti. Forse non c’era abbastanza consapevolezza, maturità, conoscenza? Nulla di tutto ciò tocca Alessandro Michele, sia ben chiaro. Lui aveva la propria visione, ma l’azienda è stata capace di proporla al mercato cinese con le giuste strategie? È tempo che le maison assumano esperti interni o si affidino a consulenti come fa Ermenegildo Zegna, che si lascia consigliare da Angelica Cheung, ex direttrice Vogue Cina. Chissà se con l’arrivo di Laurent Cathala qualcosa cambierà.
A proposito di Gucci, la visione di Tom Ford e la Cina… 👇
Un’ultima considerazione sulla possibile inversione di rotta creativa: se Gucci deciderà di riesumare il sex appeal dell’epoca della direzione creativa di Tom Ford, piacerà mai ai cinesi? Just a kindly remind, il sesso in Cina è ancora un tabù.
PER APPROFONDIRE
Il vestito Gucci di Melania Trump a Pechino, su Vanity Fair
Sonia, la ristorantrice cinese a Roma, modella per Gucci: su Huffington Post
Gucci e il flop di Doraemon, Jing Daily
Gli animalisti contro Gucci nell’anno della tigre, WWD
Cina: il sesso è ancora tabù. Su Perquelchenesoio
NOTIZIE DALL’ASIA
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La strategia di Max Mara in Cina, Jing Daily
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