Della vittoria di Burberry contro Baneberry
Concorrenza sleale: l'altra faccia del Made in China
Ah, la contraffazione! Nota dolente dell’industria cinese. Mi ricordo ancora quando nel 2016, a Pechino, visitai il Silk Street Market al numero 8 di East Xiushui Street, nel distretto di Chaoyang. Vi si accede anche dalla fermata della metropolitana, e pare che persino George Bush ci sia stato tanto tempo fa per acquistare capi in seta per la moglie. Metterci piede fu come entrare in una dimensione parallela: ricordo che tutto rimandava a borse di lusso, scarpe di lusso, abbigliamento di lusso. Solo che nulla era (realmente) di lusso. Tutto era merce contraffatta. “È pelle, è pelle”, mi gridavano le venditrici mentre si districavano tra una pila di borse fake Chanel e un’altra di fake Louis Vuitton. Avevano in mano gli accendini e usavano la fiamma per dimostrare la qualità della pelle: fosse stata plastica, avrebbe preso fuoco. Ma com’è possibile che tutto questo accada alla luce del sole?
In Cina lo shopping online è stato regolamentato (si rischia una multa fino a 240mila dollari di dollari), ma il Silk Street Market continua a fare il suo lavoro ogni giorno, alimentando quel mercato della contraffazione che il Global Brand Counterfeiting Report 2018 ha dichiarato valere 20 miliardi di dollari solo nell’ambito della pelletteria. Inoltre, stando ai dati pubblicati da Daxue Consulting, il mercato della contraffazione ha rappresentato nel 2016 il 2,5% di tutto il mercato globale. Dalla pelletteria all’elettronica, il valore della merce contraffatta quell’anno ammontava a 461 miliardi di dollari. Un dato in crescita, rispetto all’anno precedente: nel 2015, infatti, il valore della stessa era di 400 miliardi di dollari. Solo in Cina e a Hong Kong, veniva prodotto l’85% della merce contraffatta mondiale. Venduta alla Cina, ma anche al resto del mondo.
Il caso Burberry contro Baneberry
Ora, dopo la contraffazione, il dibattito continua all’insegna della cosiddetta concorrenza sleale. Che cos’è? A dare la notizia di quanto accanduto a Burberry è Jing Daily, che scrive: “Il 7 maggio, l’Alta Corte popolare provinciale di Jiangsu si è pronunciata a favore di Burberry. La sentenza ha confermato l’ingiunzione preliminare di Burberry del 2021 contro Baneberry, che aveva utilizzato in modo improprio il motivo a quadri distintivo di Burberry e un logo simile al Cavaliere Equestre di Burberry sui suoi prodotti venduti tramite Tmall e WeChat”. E ancora, la sentenza finale: “Il tribunale ha ordinato a Baneberry di risarcire Burberry per 6 milioni di RMB (831.059 dollari), riflettendo l’entità della violazione, la sua natura dannosa e la gravità della violazione. La decisione ha sottolineato la rigorosa difesa portata avanti da Burberry attraverso il suo studio legale rappresentativo, Lusheng”.
Il caso di Burberry contro Baneberry è indicativo di quanto vendere e posizionarsi oggi nel mercato cinese richieda non solo coerenza e strategie di localizzazione ma anche una spiccata capacità di restare sempre in guardia. C’è una linea sottilissima tra contraffazione e concorrenza sleale. Nel febbraio 2017, il colosso e-commerce Alibaba riportò 1910 casi sospettati fake: 129 di questi furono dichiarati colpevoli di contraffazione. Ancora, quell’anno si è scoperto che i venditori di merce contraffatta sulla piattaforma e-commerce Taobao erano 240mila, il precedente invece 18mila.
Ma saper copiare, oggi, è ancora fonte di orgoglio per i cinesi?
Si innesca qui, proprio qui, la mia riflessione: quanto copiare è oggi ancora fonte di orgoglio per i cinesi? Mi spiego. Copiare per i cinesi è una forma di rispetto per i grandi maestri del passato. Nei secoli è sempre stato così, nella storia dell’arte come nella letteratura: eccelleva chi riusciva a riprodurre con uguale abilità le opere del maestro. Lo so, è un gap culturale che in occidente spesso si fatica a comprendere (ma ricordiamoci sempre che la diversità è ricchezza!).
Lascerò che sia il professore Austin Williams, autore di China's Urban Revolution: Understanding Chinese Eco-cities, a spiegarvi come il concetto di copia sia profonda intriso degli insegnamenti del Confucianesimo. Su Global Briefing, il professore spiega che “l’esistenza del concetto confuciano di pietà filiale, struttura gerarchica che regola il proprio rapporto con i familiari o con gli insegnanti, fa parte del problema”. È il pensiero, il modo di concepire il concetto di copia, che è differente. “Sebbene queste strutture sociali siano indubbiamente servite alla Cina nel corso degli anni, hanno contribuito a creare una società in cui la copia è profondamente radicata nella cultura e non vista come qualcosa di negativo”.
Resta chiaro che usare il motivo a quadri distintivo di Burberry e un logo simile al Cavaliere Equestre di Burberry è stato davvero sleale. Una mortificazione, secondo me, pure per i bravissimi designer cinesi che tanto si stanno impegnando per tenere alto il nome e il valore del nuovo Made in China.
Notizie dalla Cina
Napoli è su South China Morning Post: è stata definita la capitale della contraffazione europea. Qui
Qual è il segreto del successo di Miu Miu in Asia? Jing Daily
Del perché il fermaglio per capelli di Miu Miu abbia creato dibattito in Cina, Dao Insights
H&M diventerà partner di Shanghai Fashion Week, Fashion United
Avevamo proprio bisogno della cameriera creata con AI in Cina? Today online
La bellissima campagna di Shanghai Tang per la Festa della Mamma 2024:
E per oggi è tutto, a domenica prossima! ❤️